Il FIAT 626 è un bell’esempio di meccanica italiana. La produzione ebbe inizio intorno al 1938 sulla base di un progetto intelligente che stabiliva che vari componenti (motore, cambio, differenziale, balestre, ecc.) fossero intercambiabili con altri modelli sia della FIAT che di altre case costruttrici italiane.
Questa caratteristica riguardava soprattutto i supporti e gli attacchi al telaio, indipendentemente dal sottogruppo in sé. Emerge quindi chiaramente la grande flessibilità dal punto di vista della manutenzione e comunque questa caratteristica facilitò e stimolò molti piccoli costruttori/assemblatori che costruirono veicoli partendo dalle componenti che occasionalmente si trovavano sul mercato, anche dell’usato.
Il progetto prevedeva 2 motori in alternativa (benzina e diesel ad iniezione indiretta) della stessa cilindrata. Il cambio era a 4 rapporti più retromarcia, senza riduttore. Sospensioni rigorosamente a balestra.
L’insieme fornisce un autobus di discrete prestazioni e affidabile per quanto riguarda motore, cambio e differenziale. Come sempre il “fusibile meccanico” era sui semiassi che si rompevano con facilità salvando però il resto della meccanica. In compenso la loro sostituzione era veloce e poteva essere fatta agevolmente anche su strada dallo stesso autista.
La potenza era di 75 Hp per il modello a benzina e 70 per il diesel.
Il 626 non era dotato di servosterzo con tutte le conseguenze del caso, tra cui la notevole difficoltà di tenere il mezzo in strada in caso di scoppio di un pneumatico anteriore.
L’impianto frenante era invece dotato di servofreno ad aria, e costituito da 8 ganasce frenanti (di cui 4 autofrenanti in ogni senso di marcia) tradizionalmente a tamburo.
Considerando il 626 dal punto di vista del passeggero, notiamo che l’abitacolo era dotato di un rudimentale sistema di riscaldamento che prelevava aria calda in prossimità del radiatore del motore e la convogliava in cabina mediante tubazioni flessibili.
Il risultato è facilmente immaginabile: in inverno era necessario coprirsi molto bene. I sedili, ma solo nelle prime versioni, erano rigidi senza imbottitura.
La carrozzeria era progettata con l’obiettivo principale di risparmiare materia prima metallica. Ai tempi dell’autarchia ferro e alluminio erano praticamente solo di importazione o di rifusione da rottami per cui i prezzi erano alle stelle. Si impiegavano quindi centine di legno e tetti di tela impregnati di olio di lino cotto. Interni in faesite o masonite con pavimentazioni in linoleum. Alcune componenti erano in leghe metalliche povere tipo “zama”.
La velocità massima era di 60 Km/ora.
Al veicolo poteva essere agganciato un rimorchio ma in tale configurazione il FIAT 626 poteva percorrere solo strade pianeggianti. Il gruppo motore-frizione da 75 Hp non avrebbe consentito una partenza da fermo in salita.
Grazie al rimorchio comunque il numero di passeggeri trasportati (27 per la motrice) circa raddoppiava. Nel dopo guerra il sistema autotreno bus+rimorchio fu abbandonato per motivi di sicurezza e perché determinava eccessive sollecitazioni allo stomaco dei passeggeri del rimorchio.
Attualmente infatti per alte capacità di carico i costruttori adottano la formula ben più efficace e sicura dell’autosnodato con articolazione a ralla.
Si ringrazia l’ing. Mauro Masini, Direttore di Esercizio di Trentino trasporti esercizio, per il contributo.
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